Come il gourmet sta uccidendo la cucina tradizionale italiana

La cucina gourmet sta uccidendo la tradizione culinaria italiana. Forse sarà colpa dei talent show, delle tante trasmissioni che quotidianamente si occupano di cucina, ma, negli ultimi anni, stiamo assistendo all’ascesa dei ristoranti in cui paghi o per non mangiare o per mangiare poco e pagare tanto.

Anni fa, quando avevi fame, scendevi di casa e andavi in pizzeria. Una margherita dal diametro di quasi mezzo metro = 5 euro.
Oggi, solo per leggere il menu ci vogliono due ore e una laurea in gastronomia. Impasto ottenuto dal rapporto sessuale di lievito madre con lievito padre, pomodori San Marzano DOP coltivati da contadini esperti del rapporto uomo/pomodoro. Mozzarella di bufala campana allevata da imprenditori che sussurrano ai bovini. Olio di oliva dichiarato extravergine solo a seguito di visita ginecologica e portato a mano direttamente dalla Puglia. Grattata di parmigiano reggiano ottenuto da forme fatte rotolare a mano direttamente da Parma, sale raccolto sulle cime dell’Himalaya e trasportato sulle spalle di uno Yeti. Totale 30 Euro.
Oppure vuoi una bella carbonara e vai al ristorante e scopri che non è più quel piatto semplice di una volta. Pepe Tellicherry extra bold India macinato e fatto cuocere nel grasso ottenuto da guanciale di maiale tenuto lontano dalle scrofe perché troppo maiale. Uova di galline allevate a terra ed allenate secondo rigidi workout mattutini e pasta importata dai più antichi pastifici di Gragnano, dove ogni spaghetto è stato coccolato e massaggiato prima di essere immerso in acqua bollente. Totale 25 euro.

Per non parlare poi di quei ristoranti stellati che ti propongono una cucina di arte contemporanea, concettuale. Quelli che non ti vendono cibi, ma ti fanno vivere un’esperienza. Ti presentano piatti come “La Rotazione Celestiale”, un’opera d’arte commestibile ispirata all’orbita dei pianeti, con un tocco di luce solare servita su un piatto di Saturno. Quei piatti che quasi non vanno mangiati ma “vanno prima ammirati e compresi” in uno stato simile alla sindrome di Stendhal. Cosa dire poi delle porzioni? Più che porzioni sembrano spazi espositivi. Seduto al tavolo, ti chiedi se sia necessario un microscopio per osservarle.

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E i prezzi? Vendere un rene non si può, non ci ricaveresti abbastanza. Forse dovremo vendere l’intero apparato digerente solo per saldare il conto.

Che palle! Siamo riusciti a rendere complicate le cose semplici.

In conclusione, la cucina gourmet ha assunto un ruolo di primo piano, trasformando il semplice atto di mangiare in un’esperienza artistica e filosofica. Ma quanto siamo disposti a sacrificare per questa nuova forma di gastronomia? Quando il piatto diventa più un’opera d’arte da contemplare che un pasto da gustare, ci troviamo a un bivio. La tradizione culinaria italiana, che ha sempre puntato sull’essenzialità e il gusto autentico, rischia di perdere il suo posto di onore a tavola. Certo, l’evoluzione è inevitabile, ma dov’è il confine tra l’innovazione culinaria e il superfluo?

 

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